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N.5: In ogni donna c’è una dea, non una bambola né una gattina

Sono una donna, il corpo è mio e io ci faccio quello che voglio. Non tu

Inizialmente non avevo ben capito. Un fischio, una frase, un complimento da un coetaneo mi hanno ricordato tutti quei corteggiamenti che ho ricevuto quando abitavo in Campania, in provincia di Napoli. Là molti ragazzi avevano l’abitudine di farlo, insieme a: regali, fiori nel giorno del compleanno e della festa della donna, colazione a casa. Una volta mentre camminavo per Corso Umberto un ragazzo si è inginocchiato e mi ha detto “wa’ sei a’ stagion‘”, che tradotto in italiano vuol dire “sei bella come l’estate“. E non so quante volte mi sono persa e uno, due, tre ragazzi se ne sono accorti e mi hanno dato indicazioni, tante volte protetta, accompagnata, scortata fino a casa se rincasavo tardi.

Ma il catcalling è un’altra cosa. E’ una molestia verbale, una violenza, invadenza. Che può concretizzarsi con frasi poco gradite, volgari, strombazzate di clacson da farti saltare. Da uomini che spesso potrebbero essere tuo padre o tuo nonno, o da ragazzi sì coetanei, ma profondamente inconsapevoli, maleducati e sessisti.

Altre volte ancora può capitare che non ti dicano niente per strada. Ma ti guardano in un modo assurdo, da farti sentire nuda, sporca. Violentata. C’è chi ti insegue, dopo la frase, chi ti prende in un vicolo e ti fa del male. Il punto è uno solo: io sono chi sono e tu non hai alcun diritto di farmi nulla.

Altra cosa: sono una donna, il corpo è mio e io ci faccio quello che voglio, non tu. E indosso quello che voglio. Siamo donne, non siamo gatti e non siamo bambole. Anzi, sapete cosa penso? Neanche le bambole andrebbero trattate così, figuriamoci i gatti. E figuriamoci noi donne.

Una bella testimonianza sul catcalling la trovate nelle “Storie”. Nunzia, 25 anni e mamma, si racconta dopo molti anni. Per un’esperienza che tanto la traumatizzò da non farla uscire di casa. E mi viene in mente la storia della settimana scorsa, di Mary Trapani, una Life Coach di consapevolezza e amore. Ecco, forse è questo il problema: c’è mancanza di consapevolezza e amore. Lavoriamo su questo. Come sui bambini e le bambine. Non bisogna insegnare solo alle bambine a difendersi, ma anche ai bambini a rispettarle. Perché SIAMO UGUALI. UGUALI. Ed è assurdo che nel 2021 succedano ancora cose del genere.

Nella rubrica “Cara Miraja” trovate un’altra testimonianza di catcalling, molto forte. E cosa si può provare se diventi mamma da giovanissima e non te lo aspettavi. Non tutte possono prenderla allo stesso modo, e non bisogna mai giudicare nessuno. Fatemi sapere cosa ne pensate.

Intanto in questo editoriale, per questo argomento che sento nelle viscere, vorrei lanciare un appello: mamme, papà, famiglie, scuole, maestr*, prof, educatori ed educatrici, mezzi di comunicazione, colleghi/e giornalist* e la società tutta: impegniamoci per costruire un mondo migliore! In che modo? Con il rispetto. Partendo da piccoli gesti, come spiegare che il catcalling è sbagliato. Soprattutto partendo da adesso.

Buon miraggio

Miraja

giornalista del ventre

“Storie che arrivano alla pancia delle persone”

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